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Dimitri Salonia opera da Messina, in Sicilia; libero ed estroverso, ai limiti dell’anarchia, è anche Avvocato di alto spessore. Promotore di organismi benefici e culturali è a capo del Movimento dei Coloristi.
Orazio CUSUMANO spiega che le Sue figurazioni, realizzate a tocco o ad ampie pennellate, a spatola o a pastello, si risolvono in forme equilibrate e suggestive per immediatezza e freschezza espressiva, per accordi cromatici e trasparenze luminose, mentre le Sue composizioni astratte, fondate su un rigoroso richiamo di spazi e di colori timbrici, si risolvono in movimento e serrate modulazioni ritmiche.
Hans Theodor FLEMING dice che la pennellata è spontanea. Dimitri si muove tra realtà e astrazione ed il motivo dell’impressione, inizialmente realista, si sviluppa e si modifica, diventando via via sempre più astratto, fino a quando quella realtà non si converte in puro colore e movimento, per farsi concetto.
Nicola VILLARI afferma che quando l’impulso creativo avverte, in tutta la sua pienezza, le sollecitazioni del subconscio, Salonia riesce a concretizzare, in immagini, i suggerimenti imperiosi ed esplosivi; e i profondi misteri dell’anima diventano realtà palpitante e viva … e infine i pensieri si frantumano in mille espressioni di colori la cui scala di valori si amalgama e si fonde in un’armonia cromatica di esaltante rilievo.
Marcello PASSERI puntualizza che l’apparenza normale serve all’artista per conservare ciò che ritiene essenziale per la Sua impressione. Così Dimitri porta alla luce stati d’animo, allusioni e voci segrete, senza sbandamenti ed incertezze di sorta, per un itinerario artistico coerente e valido.
Antonio OBERTI non si discosta da Passeri e definisce la pittura di Dimitri sintesi di natura e tecnica, elementi domati e strutturati, con cui il pittore messinese demolisce il vecchio mondo sensitivo, dissolvendo la materia figurativa e dove il gioco delle superfici e delle masse plastiche risolve, con raffinata sensibilità il problema luminoso. Perciò il rosso, il giallo, l’azzurro e lo stesso nero diventano luce, spettacolo iridescente e brulicante in una continua metamorfosi.
Nino FERRAU’, anche poeta, osserva che Salonia, pur senza allontanarsi dalla realtà, la trasfigura, la conturba e la ipnotizza, ora con un delirio aggressivo di colori, ora con magiche sfumature che creano lontananze liriche e visioni trasognate; e alludendo alla bellissima serie di dipinti ispirati a “I Mercati” rileva che sotto gli ombrelli aperti e le tende s’indovina l’animazione della folla che nasconde il protagonista, l’uomo. Ancora Ferraù evidenzia che nel colore si nota la ricerca della sperimentazione: il pittore sa quando il colore della notte deve essere il nero opaco e riposante e quando lo stesso nero deve quasi abbagliare e sprizzare aghi di raggi impazziti, come sull’asfalto bagnato, adattando le magie del colore alle esigenze del tema pittorico.
Antonino BAMBARA interpreta la pittura di Salonia con pessimismo: dai dipinti vengono fuori uomini e cose che parlano di problemi, escono dalle strade e da lì vengono a parlare, a denunziare. Le Sue opere sono di un linguaggio sociale duro, semplice e chiaro. La Sua pittura inquietante, che incuriosisce e attira, è fatta di solitudine e di denunzia. Per Bambara, Dimitri è un uomo, solo contro tutti, denunzia perenne del malcostume sociale. Amante innamorato della natura, che non lo tradisce mai, con la quale ha un susseguirsi di orgasmi coloristici che tutto rianimano e umanizzano, in una poesia di colore.
Lucio BARBERA annota, nel ricordo del pittore Michele Amoroso (legato al realismo della pittura napoletana), nonno materno di Dimitri e nella cui bottega di Via 1° Settembre a Messina il nipote, giovanissimo, si formò, che Salonia immerge la realtà in un involucro iridescente di acqua e opale che sfuma il disegno ed i contorni accentuando al contempo la luce e i colori, demolendo il vecchio mondo sensitivo e dissolvendo così la materia tra architetture e vibrazioni surreali.
Luigi TALLARICO ha detto di Dimitri: predilige gli oggetti in movimento e non esegue ritratti in posa. Ama cogliere l’impressione e fissare l’attimo di un viso che si sposta nel tempo e nello spazio: un volto che sorride, discute, ti osserva, riflette, si distrae, appare e scompare ai tuoi occhi, lasciando la sua impronta. Salonia sostiene che la realtà oggettiva non esiste, in quanto essa muta, si trasforma e scompare nell’attimo stesso in cui viene percepita. Non il vero, ma il verosimile.
Pepè SPATARI lo descrive come artista rapido nell’esecuzione e immediato per cui le pennellate-segno-colore si organizzano in forma e si vitalizzano per diventare messaggio che gli astanti percepiscono emotivamente.
Geri VILLAROEL: … ed è subito colore per Salonia. Cieli tersi, sogni poetici, freschezza del tratto; sembra il risentirsi all’impressionismo di Monet o Renoir e al post-impressionismo di Cézanne. Invece, tra figurazione ed astrazione, perviene alla “libidine del colore” che fu della scuola coloristica siciliana e che, il Maestro di Giammoro, è oggi Caposcuola. Fra l’altro, Dimitri racconta la Sicilia, infiammata di passione, nella modulazione dei colori che ci appartengono.
Vittorio SGARBI, nella “prefazione” alla MONOGRAFIA, invece scrive: Aria di festa perenne, di “joie de vivre“, nella pittura di Dimitri Salonia. Una festa che, agli occhi di un contemporaneo, potrebbe rivelare un fondo di ingenuità intellettuale, nel suo ottimismo apparentemente incondizionato, ma che rivela un sentimento sincero della vita, un’adesione al piacere puro dei sensi, con l’arte che si propone di fornirne la massima corrispondenza espressiva. Dal punto di vista artistico, inevitabili i rimandi all’Impressionismo e al Postimpressionismo. Meglio ancora, a certo Impressionismo e a certo Post-Impressionismo. C’è Monet, c’è soprattutto Rénoir, in particolare nei quadri di gruppo e di figura, con un nudo femminile, due giovani, fresche natiche adolescenziali che emergono dall’oscurità, che lo associa all’omologo italiano più vicino, ancora legato a un senso classicheggiante del corpo umano, Federico Zandomeneghi.
C’è, poi, il Post-Impressionismo di Cézanne, la concezione mentale che progressivamente si sovrappone a quella sensoriale, lo spazio che si sfaccetta e si scompone in unità regolare di piani, forme e colori, tendenzialmente geometrici, anticipando la svolta, tutta cerebrale, del Cubismo. C’è “l’Ecole de Paris” come linguaggio internazionale della modernità, lirico, colorista, popolate, anche se in una dimensione non certo populista, semmai di romanticismo borghesizzato, “disindividualizzato”, di edonismo bozzettistico, neo-pittorialista, a misura di parete domestica.
Ma, prima ancora che il riferimento a questo o quell’artista, a questa o quella storia dell’arte, c’è l’adesione spirituale a un’epoca e a una “forma mentis“, sviluppatasi fra gli anni Cinquanta dell’Ottocento e i Trenta del Novecento, con massima corrispondenza nella Parigi della “Belle Epoque“, che non si considera ancora finita, agli albori della modernità come oggi la intendiamo, cosciente di vivere un’evoluzione senza pari nelle precedenti vicende dell’umanità.
Un’epoca realmente progressista, proiettata al futuro, finalmente emancipata dal riferimento obbligato al passato, convinta di vivere, se non nel migliore dei mondi possibili, in quello che, come nessun altro prima, permetteva di guardare alle cose del mondo in senso positivo.
Certo, quell’epoca è finita, e far finta che non sia così vuol dire assumere un atteggiamento nostalgico nei confronti del passato, perfino conservatore, contraddittorio con il progressismo che quell’epoca esprimeva. In realtà, si tratta di una visione metastorica, estrapolata dal contesto geografico, temporale e culturale in cui essa è stata prodotta, per venire assunta come valore universale, capace di conservare un significato importante anche nell’attualità. Eccolo, il significato: se si guarda alla vita in un certo modo, con l’entusiasmo, la positività con cui la poteva vedere Caillebotte o un Rénoir giovanile, se si conserva la freschezza dell’animo, infantile, se si identifica il piacere della pittura nell’emozione della percezione del mondo, comune per tutti, di ogni età, di ogni formazione culturale, di ogni parte del mondo, allora l’arte può essere ancora fatta in un certo modo, come se niente fosse cambiato. Ecco perché, per Dimitri Salonia, la Belle Epoque non è mai finita. Sta ancora dentro di noi, se solo lo vogliamo.